Una premessa.
Cito dall’interessantissimo blog di Dentsu Italia: “Dall’ultimo Digital Society Index globale di Dentsu Aegis Network emerge che i giovani tra i 18 e i 24 anni stanno adottando misure per ridurre i propri profili online in risposta alle preoccupazioni sull’utilizzo dei propri dati e con l’obiettivo di migliorare il benessere mentale e fisico”. Lo studio è stato condotto su oltre 5.000 GenZers in tutto il mondo, ed è parte integrante di un’indagine condotta su una popolazione mondiale di 32.000 persone, realizzata al culmine della pandemia da Covid-19, e che ha esaminato il rapporto con la tecnologia e i brand.
Questo scenario, forse inatteso per qualcuno, evidenzia un certo distacco dal web e dall’attività digitale, segnalandone i pericoli per la mente e il corpo. Questa sensazione di tossicità nascosta pervade l’opera di Anna Wiener, un memoriale che esprime il punto di vista di una professionista americana del settore “tech”, che ha lavorato nella Silicon Valley in un’epoca dorata, e il suo sguardo partecipe, coinvolto, ma anche critico. Un punto di vista privilegiato, ricco di riflessioni e domande non banali.
Inquietudine diffusa.
Come sottolinea Oliviero Ponte Di Pino in un articolo apparso su DoppioZero, il titolo originale “The Uncanny Valley”, esprime meglio lo spirito del libro, basandosi su una distorsione cognitiva ipotizzata dallo scienziato giapponese Masahiro Mori nel 1970, quando in Giappone si lavorava a film e cartoni animati con effetti speciali sempre più realistici. Man mano che le anime assumevano forme sempre più simili agli esseri umani, il gradimento dello spettatore cresceva. Ma quando si superava una certa soglia, i personaggi diventavano sempre più inquietanti e repellenti e mettevano ansia, finché la tendenza si invertiva.
“Quando quasi basta, fermo lì, se no si guasta” mi diceva spesso un mio art director e questo consiglio che non ho mai dimenticato esprime, con la leggerezza dell’ironia fiorentina, il confine che non occorre superare proprio per non incappare nel perturbante, nell’inquietudine, nella diffidenza che malgrado la vita agiata e privilegiata che le aziende del tech offrono nel libro alla protagonista e agli altri colleghi, malgrado la pioggia di milioni per finanziare start up e società nascenti, malgrado lo smart working realizzato in modo davvero smart, malgrado gli uffici da sogno e i confort che tutti abbiamo ammirato (dalle stock options ai tavoli da ping pong, dalle zone relax, alle kitchenette piene di ogni ben di Dio). Malgrado tutto questo. l’autrice non può non porsi delle domande sull’etica del contesto, nello sfasamento e straniamento percepito da chi è troppo in anticipo sui tempi.
In copertina, l’androide Sophia fotografato nei laboratori di Hanson Robotics a Hong Kong nel 2019. L’immagine è parte del progetto in corso Android Phil, documentario sull’intelligenza artificiale del regista Edoardo Vojvoda. Fotografia di Mattia Balsamini.
Domande in anticipo sui tempi.
Privacy, riservatezza, purpose aziendale, confini etici sono oggi argomenti di estremo interesse e su cui il dibattito è continuo. Detto ciò, la lettura di “La valle oscura” è consigliabile non solo per vedere dall’interno le aziende che tutti conosciamo e utilizziamo, ma che l’autrice, volontariamente, non nomina mai, ma anche per capire cosa succede alle nostre vite in un’epoca in cui scegliamo di abbracciare il digitale e i suoi indiscutibili confort, forse però un po’ troppo a occhi chiusi.
Un mondo con pochissime donne.
Una nota a parte merita la considerazione e il senso d’isolamento che il racconto evidenzia sul tema dell’essere donna in un mondo popolato da uomini e del poco interesse verso il contributo rilevante che le donne, e in senso più ampio le minoranze, possono apportare a software che influenzano la nostra vita e modulano il nostro futuro.